14 - 15 agosto 1947-2012 65° ann. indipendenza India
“If we could change ourselves, the tendencies in the world would also change. As a man changes his own nature, so does the attitude of the world change towards him. …
We need not wait to see what others do.”
Se potessimo cambiare noi stessi, le tendenze nel mondo cambierebbero di conseguenza. Come l'uomo cambia la propria natura, così cambia l'attitudine del mondo nei suoi confronti.
Non abbiamo bisogno di aspettare per vedere cosa fanno gli altri.
Mahatma Gandhi
Perché proprio questa canzone ? Il ritmo mi piace, l'alternanza degli artisti è un melodico fluire, che mi mette allegria.
Ho iniziato a conoscere l'India negli anni sessanta, quando mia madre sarta, confezionava i capi ascoltando la vecchia enorme radio Telefunken ed una sera in cui giocavo vicino a lei, davano una commedia che narrava la vita di Gandhi. Le parole il racconto drammatico ed il dolore per la morte del Mahatma mi colpirono molto e chiesi a mamma ulteriori spiegazioni, andando poi sull'enciclopedia IL MILIONE a vedere e leggere altre curiosità di quel lontano Paese.
Poi ci fu il film appassionante Il Giro del Mondo in 80 giorni con uno splendido David Niven ed una giovanissima Shirley MacLane a riavvicinarmi a quei posti fiabeschi ed in seguito la moderna serie di Sandokan, ispirata da Salgari con la descrizione delle giungle Indiane, dei palazzi fastosi dei marajah.
Tutto fu sopito nell'adolescenza con gli anni di piombo, ma con la mia assunzione nel 1974 riscoprii di nuovo l'India. Dapprima attraverso i telegrammi cifrati che le nostre corrispondenti inviavano con offerte o risposte ai nostri ordini. La corrispondenza per via aerea era all'ordine del giorno, sulle buste bellissimi francobolli facevano mostra di Gandhi, Indira, paesaggi e prodotti Indiani. Aprirle era un dramma, perché la colla era talmente sigillante, che spesso la busta era appiccicata alla leggera carta da lettera o si rischiava di tagliare non solo il bordo, ma anche una parte della lettera. Poi i telegrammi diradarono iniziò l'era del telex e nel giro di un anno tutti gli Indiani comunicavano con noi direttamente: era una specie di Skype ante-litteram, dove si colloquiava scrivendo a macchina (invece che a voce) ed essendo in contemporanea si poteva portare avanti una trattativa durante una trasmissione che poteva durare quanto si voleva, un paio di minuti come anche molto di più. Ovviamente le distanze dettavano il costo della trasmissione. Dall'avvento del telex, la corrispondenza cartacea fu limitata ai puri contratti originali ed alle copie dei documenti d'imbarco. Le distanze ed i tempi si erano accorciati, mentre al telefono ci vollero 5 anni prima che la teleselezione Italiana fosse automatizzata e non si dovesse passare per il centralino delle chiamate intercontinentali (il 15) al quale eravamo costretti comunque a fare numerosi solleciti prima di ricevere la linea!
Poi ci fu il film appassionante Il Giro del Mondo in 80 giorni con uno splendido David Niven ed una giovanissima Shirley MacLane a riavvicinarmi a quei posti fiabeschi ed in seguito la moderna serie di Sandokan, ispirata da Salgari con la descrizione delle giungle Indiane, dei palazzi fastosi dei marajah.
Tutto fu sopito nell'adolescenza con gli anni di piombo, ma con la mia assunzione nel 1974 riscoprii di nuovo l'India. Dapprima attraverso i telegrammi cifrati che le nostre corrispondenti inviavano con offerte o risposte ai nostri ordini. La corrispondenza per via aerea era all'ordine del giorno, sulle buste bellissimi francobolli facevano mostra di Gandhi, Indira, paesaggi e prodotti Indiani. Aprirle era un dramma, perché la colla era talmente sigillante, che spesso la busta era appiccicata alla leggera carta da lettera o si rischiava di tagliare non solo il bordo, ma anche una parte della lettera. Poi i telegrammi diradarono iniziò l'era del telex e nel giro di un anno tutti gli Indiani comunicavano con noi direttamente: era una specie di Skype ante-litteram, dove si colloquiava scrivendo a macchina (invece che a voce) ed essendo in contemporanea si poteva portare avanti una trattativa durante una trasmissione che poteva durare quanto si voleva, un paio di minuti come anche molto di più. Ovviamente le distanze dettavano il costo della trasmissione. Dall'avvento del telex, la corrispondenza cartacea fu limitata ai puri contratti originali ed alle copie dei documenti d'imbarco. Le distanze ed i tempi si erano accorciati, mentre al telefono ci vollero 5 anni prima che la teleselezione Italiana fosse automatizzata e non si dovesse passare per il centralino delle chiamate intercontinentali (il 15) al quale eravamo costretti comunque a fare numerosi solleciti prima di ricevere la linea!
Sfogliando i codici per tradurre i telegrammi cifrati, usati per scongiurare la concorrenza e lo spionaggio commerciale, la mia giovane mente fervida correva ad immaginare dando ai loro volti una dimensione fisica, ma tutto era ancora lontano.
Nel 1976 due nostre grosse mandanti bloccarono la loro collaborazione : era morto il patriarca e i due fratelli avevano avuto un diverbio a colpi di pistola per l'eredità! Uno era finito in prigione per aver sparato al fratello maggiore: ovviamente non lo aveva colpito, il gesto era stato una mera simbolica presa di posizione. Ci fu una causa, il magistrato bloccò i conti di tutte e due le ditte, che per anni rimasero congelati. Ma in pochi mesi i fratelli fondarono due nuove società e ripresero gli affari. I due fratelli vennero separatamente in Italia e continuarono a venire una volta all'anno ed ebbi modo di conoscerli direttamente. Diversissimi uno alto magro capelli bianchi, l'altro leggermente più basso, tarchiato con i capelli neri placcati dal gel. Nulla faceva trasparire la violenza tra i due nei loro modi da gentlemen anglo-indiani
Tra i due litiganti il terzo gode ed in quel tempo emerse un nuovo partner commerciale. La ditta era sorta nel 1865, copriva tantissimi articoli commerciali: carne di bufalo, piselli, ceci, frutti di mare e pesci congelati, spezie, frutta e verdura secca e conservata, pellame, grasso animale e recentemente hanno introdotto i prodotti congelati ed aperto anche una linea di alimenti per animali e confezioni di cibo precotto in buste per la vendita al dettaglio. Aveva due enormi edifici a Mumbai (Bombay), ma il loro reparto caffé era ancora poco affermato in quanto decentrati rispetto alle zone di produzione. Dato che il mercato del caffé alla fine degli anni '70 aveva preso a salire, crearono una filiale a Bangalore ed inviarono negli anni '80 il loro manager per farsi conoscere dai clienti. Mr. N. era di pelle scura, alto sul metro e settanta, magro (allora) , sorridente. Ero andata a bere un caffé alla Portizza e lo trovai davanti al portone dell'ufficio con due valigie enormi e l'ombrello in mano, che poi appese per comodità sulla schiena inserendo il manico nel colletto. Lo vidi smarrito e gli chiesi se venisse a trovare noi: una fila di denti bianchissimi gli illuminò il volto ed entusiasta per averci finalmente trovato mi seguì pimpante nel grande ingresso, all'ascensore fino al nostro ufficio.
Quello fu uno dei tantissimi viaggi che il signor N. fece, perché lo ripetè ogni anno, come costume tra tutte le società Indiane che intrattengano rapporti commerciali con importanti clienti all'estero. Questo serve loro per raccogliere eventuali spunti per migliorare non solo il raccolto, ma anche il servizio al cliente. L'Indian Coffee Board, che regola tutt'ora i termini e le regole per l'esportazione del caffé Indiano e controlla tutti i produttori, gli esportatori, fungendo da organo di riferimento anche per gli importatori nel dirimere le contestazioni ed i reclami commerciali, fu il primo organismo governativo di un Paese Produttore che si convinse dell'importanza del controllo qualità e del suo miglioramento. Istituì già negli anni '80 un ufficio ad hoc per la supervisione e la degustazione della produzione, nonché dei campioni respinti dai clienti per valutare come poter migliorare la qualità. A capo una donna, elegante, i tratti molto fini, magra le mani affilate, il sorriso dolce e sereno. Negli anni si affrancò dal CBI ed ora gestisce un proprio laboratorio che le grandi case torrefattrici usano per avere la certezza di ricevere un prodotto di qualità. Ha combattutto e vinto il cancro, ha due figlie e ringrazia sempre la madre che le ha potuto permettere di portare avanti il suo lavoro.
Ma il racconto più suggestivo e pittoresco dell'India moderna, me lo diede il capo ufficio acquisti di un nostro cliente torrefattore, che andò dal 1995 fino al duemila nell'ufficio del sig. N. per concordare e seguire un contratto a lungo termine di fornitura. Mi raccontò che l'ufficio di N., pur appartenendo ad una delle più grandi ditte esportatrici dell'India in realtà a Bangalore consisteva in una stanza/magazzino a pian terreno pieno d'impiegati e che data la confusione e l'affollamento lui aveva spiegato alla figlia di N., che fungeva da segretaria al padre, in cosa consisteva la cernita dei chicchi difettosi da parte della sua ditta, usando come "tavolo" il marciapiede con un cartone sopra: ne rimasi stupita, ma non tanto quando lessi "La città della Gioia". Non crediate che i volumi di vendita all'epoca fossero limitati! La succursale di Mr. N. era diventata la prima esportatrice Indiana dopo circa un decennio imbarcava da sola a stagione 600.000 dei 5 milioni di sacchi prodotti in India. Il meccanismo è di raccolta del caffé nella loro stazione di lavorazione del prodotto affluito da vari produttori. Dopo la selezione, vengono riempiti i sacchi e portati in camion fino al terminal container di Cochin oppure -in stagione di monsoni- di Madras. Qui vengono caricati in containers che su piccole navi feeder arrivano a Ceylon dove vengono trasbordate sui grandi piroscafi di linea.
Ma se da una parte alcune strutture Indiane erano discutibili, le telecomunicazioni lavoravano meglio delle nostre ed anzi ho visto sempre i manager Indiani con apparecchi migliori dei nostri : il primo Galaxy Samsung l'ho visto in mano ad un Indiano (figlio di quello che aveva sparato, di cui sopra :), quando da noi appena se ne ipotizzava la futura vendita.
Ma se da una parte alcune strutture Indiane erano discutibili, le telecomunicazioni lavoravano meglio delle nostre ed anzi ho visto sempre i manager Indiani con apparecchi migliori dei nostri : il primo Galaxy Samsung l'ho visto in mano ad un Indiano (figlio di quello che aveva sparato, di cui sopra :), quando da noi appena se ne ipotizzava la futura vendita.
Tutte le ditte Indiane quando sposavano i figli, ci inviavano le partecipazioni di nozze. Uno tra i più prestigiosi inviò il biglietto per DHL con una scatola (35x10x35cm ca.) di legno di sandalo ed altre essenze di colori diversi, piena di dolcetti tipici Indiani. Fummo deliziati dal contenuto, che per soddisfare la nostra curiosità il mio vecchio titolare e mentore, divise con tutte con noi impiegate (negli anni '90 eravamo 4). Dolcetti al cocco, all'anacardo, ai pistacchi, alle mandorle, legati con fili finissimi e regolari di zucchero caramellato, pasta di mandorle ed altro erano deliziosi e portavano un sapore nuovo nella nostra esperienza.
Ma questa è storia "moderna" : quando io iniziai a lavorare nel 1974 l'esportazione del caffé Indiano in Italia era un segmento minimo.
La maggior parte della produzione Indiana, in quegli anni, andava al loro più grande compratore l'URSS, che resta tutt'ora un partner importante, tanto che nelle pagine web dell'Indian Coffee Board ne troverete una dedicata solamente alle regole con le limitazioni e le specifiche di qualità ammesse per l'esportazione in Russia!
Negli anni sessanta, settanta ed inizi ottanta erano in voga gli affari "barter", dove i produttori effettuavano un mero scambio commerciale : caffé in cambio di macchinari industriali od altri semi-lavorati di cui erano all'epoca sprovvisti. Ci vollero decenni dopo l'indipendenza per l'India sebbene nelle liste dei paesi Non-Allineati, per affrancarsi dal colosso sovietico a loro vicino.
Ma una delle maggiori peculiarità del mercato Indiano resta il caffé Monsonato. Il caffé come ben sapete è un alimento igroscopico : ha la capacità di assorbire l'umidità in modo istantaneo. Famose erano le frodi sul peso di partenza : alcuni filibustieri facevano versare secchi d'acqua sul pavimento dove stazionava il camion carico di caffé prima della partenza la sera prima. La pesata al mattino era maggiore per l'esposizione all'umidità. Quando il camion arrivava bastavano un paio di giorni perché l'umidità svaporasse ed il compratore si trovava con un calo peso eccedente quello naturale. Ne beneficiavano i venditori che si facevano pagare sul peso di partenza.
Ma per l'India questa particolarità organolettica del caffé fu l'incentivo a ricreare con cognizione di causa una situazione naturale. Con il blocco del Canale di Suez nel 1956 le navi mercantili dovettero circumnavigare l'Africa. All'epoca i sacchi di mercanzie venivano imbarcati alla rinfusa nelle stive delle navi ed erano alla mercè del tempo atmosferico: le temperature tra i Tropici e l'Equatore facevano si che assorbendo l'umidità i chicchi si ingrossavano e scolorivano, acquistando un sapore particolare. Fatto sta che alla riapertura del Canale di Suez il viaggio più corto non favoriva più tale cambiamento nel caffé, ma la richiesta rimase e venne sollecitata da parte di parecchi torrefattori affezionati al gusto che la bevanda prendeva: più morbido e cioccolatoso.
Gli Indiani si accorsero, che lo stesso fenomeno incorreva nel caffé che restava sulla costa al tempo dei monsoni: pensarono allora far stazionare appositamente alcuni quantitativi di caffé sulla costa facendo acquisire ai chicchi la caratteristica gonfiatura e sbiadimento che precedentemente si otteneva durante il lungo viaggio in mare. Nacque così il caffé Monsonato.
Però la gran parte del raccolto, non ancora venduto, veniva trasferito dalla costa (Mangalore) alle alture (Bangalore) per evitare la degenerazione del caffé. Ed è a Bangalore che gli esportatori si stabilirono a partire dagli anni '80 per evitare i monsoni, in quanto aumentando la produzione e l'esportazione verso altri paesi consumatori, non essendo più tanto legati alla fornitura all'URSS, dovettero diluire le vendite nel corso di più mesi. Si era infatti affermato uno dei più grossi Paesi Produttori: il Vietnam, che dopo la pace di Parigi ebbe uno sviluppo commerciale talmente ingente da diventare in meno di un decennio uno dei più grandi produttori di caffé e per la competitività dei prezzi e la necessità di sviluppo industriale per acquisire semi-lavorati ebbe accesso anche al mercato sovietico.
Attualmente il Vietnam è il secondo Produttore mondiale con 1.279.500 tonn./anno, a fronte della produzione del Brasile, che è il primo, con 1.785.175 tonn./anno, mentre l'India ne ha solo 340.660 tonn.
Ma come nasce la coltivazione del caffé in India? Narra la leggenda che il monaco Bababudan volle far partecipi i suoi connazionali del beneficio della bevanda durante la meditazione e portò con se dallo Yemen 7 chicchi di caffé che furono piantati in 7 zone dell'India che divennero altrettanti distretti di caffé.
In realtà le sette zone hanno peculiarità ben precise, date dalle differenti condizioni di terreno e di coltivazioni vicine a quelle del caffé e date dallo sviluppo in tazza delle diverse varietà (la Kent, la migliore, che si coltiva anche in Kenya ed in Jamaica, la S.795, una derivazione dalla varietà Kent, prediletta per il particolare aroma dai produttori di caffé arabica, la Sln.9 -selection 9- una varietà nata dall'arbusto Tafarikela dell'Etiopia (di cui mantiene la caratteristica dominante nell'aroma di tazza) con l'ibrido di Timor (arbusto molto resistente alle malattie ed alle avversità atmosferiche), ed il Cauvery o Catimor, ibrido tra il Caturra bourbon e l'ibrido di Timor, che in questo innesto ha la meglio, dando una tazza leggermente inferiore rispetto agli altri, ma con il pregio di aver reso la varietà molto resistente alle malattie).
In realtà le sette zone hanno peculiarità ben precise, date dalle differenti condizioni di terreno e di coltivazioni vicine a quelle del caffé e date dallo sviluppo in tazza delle diverse varietà (la Kent, la migliore, che si coltiva anche in Kenya ed in Jamaica, la S.795, una derivazione dalla varietà Kent, prediletta per il particolare aroma dai produttori di caffé arabica, la Sln.9 -selection 9- una varietà nata dall'arbusto Tafarikela dell'Etiopia (di cui mantiene la caratteristica dominante nell'aroma di tazza) con l'ibrido di Timor (arbusto molto resistente alle malattie ed alle avversità atmosferiche), ed il Cauvery o Catimor, ibrido tra il Caturra bourbon e l'ibrido di Timor, che in questo innesto ha la meglio, dando una tazza leggermente inferiore rispetto agli altri, ma con il pregio di aver reso la varietà molto resistente alle malattie).
Per 400 anni la coltivazione del caffé è stata un continuo evolversi ed espandersi. Mentre in alcuni paesi per mancanza di mezzi (Ethiopia, Indonesia ecc) le coltivazioni sono rimaste parte integrante della foresta pluviale, in altri Paesi più progrediti s è preso a coltivare i campi completamente spogli solo a caffé. Nel corso degli anni gli agronomi si sono resi conto che la foresta pluviale forniva un microcosmo ecologico che proteggeva gli arbusti di caffé. Inoltre in alcuni Paesi come il Salvador dove le piantagioni sono state ripiantate sulle falde degli altissimi vulcani, hanno avuto la necessità di essere protette dai venti che soffiano e per questo i coltivatori hanno accerchiato le coltivazioni di caffé con altissimi alberi di leguminose.
Ha preso piede così la famosa "coltivazione all'ombra". Gli Indiani presero immediatamente atto della convenienza di preservare il terreno dall'erosione e ridurre l'impatto biologico di una deforestazione del territorio, ma volendo mantenere le piantagioni di caffé non solo hanno intensificato le coltivazioni all'ombra dei grandissimi alberi nella giugla esistente, ma l'hanno creata dove era stata estirpata. Il Caffé è quasi totalmente affiancato ad altre coltivazioni, diverse di regione in regione, e nel rispetto dell'equilibrio naturale diminuendo l'uso dei pesticidi. Inoltre favorendo la fertilizzazione naturale, sono riusciti ad eliminare quella chimica. Eccone una foto dal web.
Nelle varie regioni a seconda dei raccolti affiancati il gusto del caffé prende varie caratteristiche organolettiche che identificano il distretto di produzione proprio per l'aroma speziato o fruttato.
Ha preso piede così la famosa "coltivazione all'ombra". Gli Indiani presero immediatamente atto della convenienza di preservare il terreno dall'erosione e ridurre l'impatto biologico di una deforestazione del territorio, ma volendo mantenere le piantagioni di caffé non solo hanno intensificato le coltivazioni all'ombra dei grandissimi alberi nella giugla esistente, ma l'hanno creata dove era stata estirpata. Il Caffé è quasi totalmente affiancato ad altre coltivazioni, diverse di regione in regione, e nel rispetto dell'equilibrio naturale diminuendo l'uso dei pesticidi. Inoltre favorendo la fertilizzazione naturale, sono riusciti ad eliminare quella chimica. Eccone una foto dal web.
Nelle varie regioni a seconda dei raccolti affiancati il gusto del caffé prende varie caratteristiche organolettiche che identificano il distretto di produzione proprio per l'aroma speziato o fruttato.
Il fogliame che vedete arrampicarsi sui tronchi degli alberi, altro non è che la pianta del pepe.
Nei primi anni del 2000 il Coffee Board ha emesso un video, e guardandolo ho scoperto che le coltivazioni di caffé Indiano fanno rivivere l'India di Kipling, specie durante il raccolto con file di donne nei loro coloratissimi sari al lento ma costante ritmo scandito dal loro canto melodioso. E guardando questo quadro sembra che il tempo si sia fermato ed è una gioia perdersi lasciandosi cullare dal loro canto che cadenza i gesti ed i passi, ripetuti da centinaia di anni, stagione dopo stagione, anno dopo anno, come un rito antico e pieno di poesia.
Qui invece vi presento un breve e recente filmato del Coffee Board of India, che ho trovato in youtube, dove un Italiano, Mario, viaggia di regione in regione alla scoperta delle varie qualità di caffé, potete leggere brevi cenni sul territorio e seguire le spiegazioni (per chi conosce l'inglese) del Coffee Swami (spirito del caffé) rappresentato da un chicco di caffé tostato vestito del copricapo e del costume caratteristico della zona in cui fa da guida al giovane. Il video è talmente elementare da risultare puerile e fa sorridere, ma vi farà scoprire qualcosa di più su quel meraviglioso alimento, che tutti chiamano "caffé" ma di cui solo noi Italiani abbiamo saputo estrarre il meglio con vero piacere!
Scusate la lunga digressione ed il saltar di palo in frasca, ma l'argomento dopo 36 anni mi emoziona ancora ed essendo stato parte integrante della mia crescita e della mia vita, ogni volta mi fa perdere di vista ogni misura... chiedo venia!
Buon caffé!
10 Commenti:
le voci però sono doppiate da indiani, un italiano non parla così l'inglese ;)
ci hai donato una vera chicca, anzi un vero chicco, grazie :)
prego :)
Bellissimo post, complimenti e grazie per aver condiviso i ricordi e la miriade di informazioni: ho imparato di più leggendo qua sopra che in tutte le ore di Geografia a scuola in cui si studiava (abbastanza "di striscio") l'India...! :)
Grazie Shunrei! :)
Bellissimo post, come sempre mi tolgo il cappello, cara Renata...
Però... eh, sì, te lo devo dire: anch'io ho fatto fatica ad arrivare in fondo, preso come sono dalla fretta di leggere e commentare una dozzina di blog degli amici... e te ne rendi conto tu stessa, con quelle scuse dell'ultimo capoverso...
Che dirti? è una delle tante contraddizioni del web: c'infastidiamo a leggere post sciapi e affrettati, ma ci sentiamo un po' a disagio nell'affrontare quelli così pensati e circostanziati come il tuo; anche a me capita spesso, nel compilare un post, di pensare "Quanti lo salteranno a pie' pari, impressionati dalla sua lunghezza?"
Ti darei un consiglio (e lo do anche a me stesso): prova a fare un sunto iniziale il più possibile conciso, per poi concludere "Chi desideri approfondire l'argomento clicchi sul link di seguito" e poi inserire un "continua a leggere" che contenga gli approfondimenti. Io lo facevo spesso su Splinder, ora ho un po' persa l'abitudine, ma penso che la riprenderò.
Nel merito del post (come vedi neppure io mi faccio pregare nel tirarla in lungo): quasi mi spiace di essermi lasciata scappare la ricorrenza, Gandhi per me è un mito, la sua contestazione non violenta è quella che sento più vicina alla mia sensibilità.
Molte delle notizie che riporti le conoscevo, altre no, e me le sono gustate con vero piacere.
Guarda caso, anch'io ho iniziato a lavorare ufficialmente nel 1974, subito dopo la laurea; l'avevo già fatto prima ma erano lavori occasionali e non riconosciuti... in nero, per dirla tutta...
Mi ha fatto sorridere il tuo racconto sui telex; anch'io ho trascorse giornate a leggere quelli dei nostri corrispondenti all'estero e a rispondere; sembra presistoria, eppure sono passati pochi decenni; e il telefax (che sembrava invenzione ancora più strabiliante) è durato ancora meno, ucciso dalla posta elettronica.
Un altro bel film sull'India che ti consiglio, se ancora non l'hai visto, è "Passaggio in India" (David Lean, 1984) con Alec Guinness e una grandiosa Peggy Ashcroft, premiata con l'Oscar.
E adesso sto superando anch'io i confini della decenza... proprio vero che rimproveriamo agli altri i nostri difetti...
Bacissimi, tuo
Cosimo
Caro Cosimo, il post l'ho fatto seguendo la scia dei ricordi per dare un quadro completo di quel che era l'India nei nostri rapporti: HO TAGLIATO E RIDOTTO TANTISSIME FRASI ;) ma come fai a fare un sunto di 36 anni d'esperienza?
Quindi spero che chi ha voglia legga ed ha tutto il quadro dell'insieme, chi non riesce a farlo pazienza!
per me il post deve avere una conseguenza logica ed è quella che ho portato avanti.
Passaggio in India mi è piaciuto, l'ho visto tantissimi anni fa.
Io ho finito ragioneria nel luglio '74 e dopo un mese ho iniziato il mio primo ed unico lavoro con un grande personaggio nel campo del caffé: mi ha fatto subito amare il mio lavoro. Il caffé è peggio di una droga a tutti gli effetti, quando ti entra nel sangue non te ne liberi mai più
Bellissimo articolo sul caffè. Caffè indiano però da quello che ricordo non transitava molto non almeno nelle mie mani ovviamente dipendeva dal tipo di cliente che noi trattavamo. Eh si c'era di furbi...che poi bagnavano anche con acqua di mare per avere un riconoscimento dall'assicurazione....
Ciaoooo
Si vede proprio che il mondo è dei furbi ... questa non la sapevo !
Hai ragione, scusa ('azz! sei quasi più pignola di me, 'spetta che mo' ti sistemo io nel tuo ultimo post, ih ih!). Non dovevo dire sunto, piuttosto introduzione: un qualcosa che accenni l'argomento, abbastanza esteso da soddisfare i visitatori affrettati – ma tale da incuriosire chi desideri approfondire – da far seguire subito dopo dal continua a leggere; secondo me ne guadagnerebbe anche la snellezza della pagina, che con più post di tale lunghezza rischia di diventare interminabile.
È solo un'idea mia, ovviamente, fai benissimo a regolarti come meglio credi...
Bacioni, tuo
Cosimo
Cosimo, ci sono post brevi, perché riesco a sintetizzare l'argomento che voglio esprimere, ma altri che giocoforza escono lunghi, perché la mente corre e le mani da buona dattilografa riescono a seguirla... alla prossima
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