Settembre
E’ arrivato! Con la pioggia ed i temporali, con il fresco, ma ancora
una temperatura accettabile.
Settembre è il mese che preferisco, il tempo si rinfresca, ma il sole ha ancora forza per riscaldare ed
i bagni di mare sono splendidi! Ma Settembre nelle mie memorie è legato alla vendemmia, quando dal
nonno e dagli zii ci si riuniva tutti e si chiamava anche qualche parente a
vendemmiare.
Il nonno Bepi era orgogliosissimo della sua vigna, che curava
incessantemente, percorrendola con il suo trattore ogni santo giorno durante il
periodo.
Oltre alle potature continue, alle cure anticrittogamiche, allo zolfo da passare dopo ogni pioggia da un
certo punto della stagione, perché non attecchisca la peronospera, il nonno
zappava costantemente d'estate un’ora dopo la mungitura prima che il sole andasse a
monte, perché la base delle viti fosse libera e neanche un filo d’erba potesse
togliere l’acqua alla vigna e nelle estati calde si lavorava anche di notte per irrigare la vigna. Tra i filari aveva piantato alberi da frutta
che non avevano uno sfruttamento commerciale, ma amava potessero non mancare sulla nostra tavola.
C'erano tra i vitigni di cabernet e verduzzo qualche pianta di uva regina da tavola, di uva cardinale e di moscato, mitico vitigno della sua amata terra perduta.
Il contadino, come ogni lavoratore sano, cura la terra con amore e
passione, ed ella ripaga con generosità elargendo abbondanti frutti se il
lavoro è di qualità. Nonno stava con il cuore sospeso tutta la stagione, da
primavera a settembre e qualche volta anche ottobre, quando la vendemmia era tardiva, perché c’era sempre in
agguato la peronospera e la grandine. Ricordo le giornate d’estate quando
arrivavano i temporali: ci sedevamo sul sedile del tino e nonno guardava la
pioggia. Se arrivava la tempesta mormorava sconsolato “Povere le mie fatiche!”.
Potete immaginare come era il suo stato
quando si arrivava alla vendemmia: nervoso e scattante, impaziente di portare
in salvo il raccolto. Allora si era pronti per iniziare.
Prima della vendemmia c’era tutto un lavorio di preparazione: dopo
ferragosto si imbiancavano le pareti del portico con la calce bianca si
spostavano i tini che venivano lavati con la soda solvay e l’acqua calda, i
fondi erano riempiti d’acqua affinché il legno si gonfiasse per rendere la
botte impermeabile. Alcune botti prima del lavaggio avevano bisogno di maggior
manutenzione, sostituendo doghe logore: era
un gioco magico, quello che il nonno faceva. Sotto i colpi sapienti con un martello speciale dalla lama a taglio sul cerchio e con la mazzetta batteva
ed il cerchio cadeva lasciando libere le doghe che si aprivano a spicchi sul
selciato. Dopo averle riparate ripeteva nel senso inverso l’operazione e
picchiava sul cerchio fino a posizionarlo nel
posto giusto affinché le doghe rimanessero ferme e stabili. Poi venivano preparati gli orci, i secchi, le
forbici affilate, il carro pulito e chiuso con le sponde e l’interno rivestito
di un telo impermeabile ben lavato per non perdere il succo dei grappoli che sotto il peso
dell’uva caricata si spandeva.
Lavorare incessantemente dal mattino fino al tramonto in vigna non era
un lavoro leggero. C’era da star attenti alle mani del dirimpettaio che lavorava dall’altra parte
della fila, nascosto dalle foglie delle viti, i secchi si riempivano, alcuni
anche in fretta ed il peso affaticava, poi il nonno o gli zii a turno
svuotavano nel carro l’uva.
S’iniziava la mattina dopo una buona merenda, fino a mezzogiorno per
il pranzo, che finiva con un buon caffè, si riprendeva fino alle 16.00 per
fermarsi per un altro caffè e poi a sera si smetteva e ci si lavava per la
cena. La tavola era enorme e ben imbandita. Per la vendemmia si iniziava il
secondo prosciutto che accompagnava il formaggio delle nostre mucche nelle
merende dei vendemmiatori. Mamma era addetta alla cucina e sfornava piatti succulenti: era il periodo in cui si mangiava meglio, come alle feste! La sera si andava stanchi a letto e quando
chiudevamo gli occhi le retine ci rimandavano le immagini di grappoli elaborate
durante il giorno! Diventava un’ossessione! Ma che soddisfazione per i miei nonni quando il raccolto era abbondante e sano! Potete constatarlo voi stessi in questa foto del 1970 : nonno in piedi (61 anni), davanti a lui la bisnonna (81 a), poi accovacciata la nonna(58 a) e mia madre (38)seduta per terra.
Quando il carro era pieno veniva portato via: alla cantina sociale se
dovevamo vender l’uva, oppure veniva vuotato nei tini, per poi essere passati
nella diraspatrice. Prima di avere la
diraspatrice, si pigiavano i grappoli con i piedi nei tini, che poi venivano ripassati
per togliere anche gli ultimi acini con un gran tamiso (setaccio)formato da delle corde incrociate a rete fissate su un quadrato di legno, sufficentemente largo da appoggiarlo sui tini mentre i grappoli venivano raspati
sulle corde.
Ogni giorno poi, mattino, sera e pomeriggio il nonno saliva sulla
mensola dove poggiavano i tini e con un bastone a cui era attaccata una
tavoletta rettangolare “rompeva” la superficie compattata dagli acini nella
fermentazione. In questo modo le vinacce venivano ossigenate uniformemente e le bucce non rimanevano a galla troppo tempo per ossidarsi, infatti è l'ossidazione eccessiva che da un sapore astringente al vino.
Dopo il giusto periodo di fermentazione, un paio di giorni o più a
seconda se uva bianca o nera, veniva aperto il tappo inferiore alla base del
tino ed il mosto veniva passato in tinozze basse e larghe che prendesse
aria, poi veniva travasato in botti di legno, filtrandolo per liberarlo da
eventuali impurità. Le vinacce venivano tolte per ultime, poste
nel torchio e pressate a rilasciare tutto il succo restante, che filtrato
passava nelle botti, mentre le vinacce esauste erano raccolte in sacchi di
juta e vendute alla fabbrica di liquori PAVAN (che non esiste più) per la
distillazione della grappa.
A questo punto c’era una serie di querelle tra il nonno e la nonna per
l’ “aggiustamento” : c’era da dosare la
giusta dose di bisolfito per sterilizzare il vino ed al caso aggiungere un po' di zucchero per "aiutare" il grado e nonna correva ansiosa e
prepotente domandando pareri ed elargendo reprimende al nonno che come un
panzer, faceva il suo ed ogni tanto la redarguiva con un “ti, tasi” (taci tu) quando stava
esagerando.
Ricordo anche l’operazione di "profumazione" del vino: in un alambicco
di ferro veniva posto un piccolo braciere con zolfo puro fatto
bruciare: si metteva un'ora circa o più -non ricordo bene- prima di chiudere le botti appena travasato il vino, per disinfettarlo,
dato che lo zolfo è l’antibiotico naturale per eccellenza, e per togliere l'ossigeno eventuale. L'operazione veniva ripetuta nei mesi successivi nelle botti da cui si era tolto parte del vino, se la rimanenza doveva restare ancora dentro per un po', affinchè non diventasse acido.
Solo quando la cantina si riempiva di botti ed i tini venivano lavati
e riposti, il nonno si rilassava : la stagione seguiva con i tre grandi travasi: uno dopo 10-15 giorni, l'altro a novembre-dicembre, il secondo prima della fioritura della vigna, perché quando la vigna fiorisce il vino nelle botti ritorna ad una piccola fermentazione. I travasi servivano per eliminare i depositi della fermentazione, la cosidetta "feccia", per schiarire il vino e farlo maturare correttamente prima di poterlo mettere in tavola.
Allora il nonno prendeva il bicchiere come se tenesse un tesoro: annusandolo e sorbendolo, gustandone fino il fondo l’aroma. Allora era un piacere vederlo rimirare soddisfatto la sua opera, mentre poggiava il bicchiere vuoto, e con solo un mezzo sorriso per verecondia, mormorava sottovoce “questo si, che xe (è) un bon vin!”.
Allora il nonno prendeva il bicchiere come se tenesse un tesoro: annusandolo e sorbendolo, gustandone fino il fondo l’aroma. Allora era un piacere vederlo rimirare soddisfatto la sua opera, mentre poggiava il bicchiere vuoto, e con solo un mezzo sorriso per verecondia, mormorava sottovoce “questo si, che xe (è) un bon vin!”.
Etichette: ricordi, vita movimentata


9 Commenti:
Carissima Renata, ti rileggo con grande piacere!
Anche mio nonno aveva una piccola vigna in Valchiavenna dove si era ritirato dopo la pensione. Qualche volta ho assistito anch'io alla vendemmia, ma è un ricordo vago perchè ero molto piccola. Ora la vigna non c'è più, perchè le viti erano molto vecchie e nessuno poi le poteva curare; in compenso abbiamo un pergolato di fronte a casa di "uva americana" che ci regala dolcissimi grappoli che portiamo a casa, visto che iniziano a maturare a metà agosto.
Ti abbraccio, felice di averti riletta e "parto" per le nuove fatiche scolastiche (domani ho la prima riunione)
In groppa al ricco Lella!!!!
Che meraqviglia, Renata! Ho anch'io un vago ricordo della vendemmia, ma non di tutte le fasi che hai menzionato tu. Eri molto attenta a quanto accadeva, devo dire.
I bambini di oggi sono stati privati di tutto ciò, ed è un vero peccato
Ciao, carissima :-)
aiutare gli adulti una volta era gratificante e gli adulti ti facevano partecipare con piccoli compiti che ti coinvolgevano.
poi vent'anni vissuti ogni festa ed ogni estate in campagna mi ha regalato questa memoria!
Ciao !
I tuoi ricordi sono anche i miei, seppure in scala minore: le vigne dei miei zii erano poca cosa, i trattori erano a quei tempi lussi da grande azienda e le gerle della vendemmia si portavano a spalla, o al massimo sui carri da buoi. E la vendemmia, in quei paesi montagnosi dell'appennino ligure, si faceva in stagione più tarda, spesso a ottobre inoltrato.
Per il resto coincide tutto, dalla pigiatura coi piedi alla torchiatura finale delle vinacce... e ho il sospetto che distillasero anche clandestinamente la grappa, visto che anni fa trovai in cantina un vecchio alambicco di rame...
Ricordo anche i trattamenti preventivi sia alla vigna che alle botti, che hai descritti con grande precisione; però, tanto per compiacere la mia proverbiale pignoleria, mi tocca puntualizzare: lo zolfo non c'entra niente con la peronospora, è un rimedio contro l'oidio, detto volgarmente "mal bianco"; per la peronospora si usa invece il solfato di rame, ed entrambi veivano spruzzati sulla vigna con pesanti macchine da portare a spalla, che un pochino si somigliano tra loro, anche se ciascuna era riservata ad un solo trattamento.
Abbraccione, tuo
Cosimo
ciao Renata, che bello ritrovarti. E che bello leggere della vendemmia: non mi è mai capitato di farla, deve essere divertentissimo!
Hai ragione Cosimo, e non dimentichiamo tutte le altre malattie, come il famigerato microscopico ragno rosso, che mio nonno mi faceva rintracciare sul retro della foglia di vite e quella volta lo individuavo ad occhio nudo!!!
Agli inizi i trattamenti li faceva con la tanica a spalla e la vigna la lavorava con le mucche da tiro, ma già dopo un paio d'anni comprarono il trattore che hai visto (le foto sono del '62) e la botte con i getti a spruzzo.
Spesso nonno aggiungeva lo zolfo colloidale al solfato di rame.
Ora mi sovviene quando rompevo con un peso i cristalli di solfato di rame che poi il nonno scioglieva nell'acqua. Erano i primi anni dopo l'esodo, prima dell'avvento delle miscele preparate! e quanti ricordi!!!
Maude, che bello riaverti tra noi!
Era divertente, ma anche stancante!
la malinconia che accompagna settembre si legge anche tra queste righe...
che ricordi... la terra dei miei nonni non era tanto estesa e la vendemmia da noi finiva in due giorni... giorni intensi e serate di festa...
mi manca a volte quel senso di famiglia che si respirava,
Da noi c'erano tre vigne da vendemmiare, quella del nonno e dei 2 zii, suoi fratelli.
La festa, nonostante la fatica, la capacità di ridere, di raccontare storie sentite da anni, per poi commentare, prendersi in giro e fare di ogni minuto un occasione di condivisione e di allegria è la cosa che mi manca di più. Ecco perché non riesco a restare in quella casa enorme e vuota, dato che i miei figli nella mia stessa situazione non ci vanno mai!
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