La mattina del 29 ottobre 1974, era un martedì, stavo lavorando quando mio padre chiamò in ufficio e mi disse: Mamma è verso la fine, vieni. Presi il treno ed andai subito in ospedale. Mamma già non parlava, il respiro affannosso, lo sguardo fisso della cecità indotta dal meningioma, alzava il braccio destro, come era usa a farlo quando mi raccomandava qualcosa d'importante, frustrata dal non riuscir a proferir parola.
Passammo, io e mio padre, la notte accanto a lei. Il primario del reparto era un amico di famiglia in tre mesi di degenza di mia madre le aveva riservato una cameretta defilata, in fondo al corridoio, dove a turno i miei parenti vegliavano giorno e notte mia madre.
Erano le 7 quando mi svegliai il giorno dopo, 30 ottobre: il respiro si era fatto rantolo. Accorse tutta la famiglia e fu la disperazione. La realtà del temuto distacco, tenuta a bada per mesi, ormai si palesò chiara ed alle 8:30 mia madre esalò il suo ultimo respiro, rendendo la nostra perdita definitiva.
Quando muore un congiunto i parenti entrano in una bolla d'incredulità. Si sapeva che il giorno sarebbe arrivato, lo si auspica -con rimorso- per liberare il congiunto da una sofferenza così atroce: nonostante i sedativi che la scienza mette a disposizione, un tumore al cervello è devastante. Mia madre aveva soli 42 anni, aveva perso 40 kg di peso era un fuscello, era cieca, le funzioni vitali erano scemate a poco a poco in tre lunghissimi mesi, durante i quali mio padre con ferie e permessi ed aspettativa le fu accanto, accudente meglio di una infermiera, pulendola nelle sue più intime necessità, parlandole con dolcezza e sicurezza. Mio fratello, i nonni, i miei due zii e le zie si avvicendavano a lui al capezzale di mia madre in una guardia di tre turni: mattina, pomeriggio, notte, non fu mai lasciata sola. Anche gli altri parenti che abitavano in zona di tanto in tanto davano loro il cambio per alleggerire qualche pomeriggio o qualche notte, quando i lavori lasciavano loro un po' di libertà dalla campagna.
I giorni che seguirono la morte di Mamma restano ancora confusi. Si agiva o meglio si reagiva alle necessità del momento in una trance particolare, col pensiero al funerale. Il 31 fu fatta l'autopsia, ma il 1° novembre era festivo quindi non si poteva fare il funerale, che fu fissato per il 2 novembre, impossibile a dimenticare per gli anni a seguire. Così il 31 ottobre ed il 1° novembre , oltre alla preparazione con le formalità del funerale, fu un pellegrinaggio di parenti e di conoscenti del paese, di orazioni serali con la suorina che si prestava al rosario. La nonna e le zie erano occupate a preparare che tutto fosse in ordine per accogliere chi veniva. Soprattutto a nonna serviva tenersi occupata. Il nonno sedeva in un angolo con lo sguardo nel vuoto, i bisnonni piangevano seduti accanto al focolare. Papà e noi con un peso nel cuore seguivamo in trance ciò che accadeva, incontrando persone che anche non conoscevamo o solo di vista. Poi arrivò il 2 novembre. Nella chiesa di Roveredo in Piano si svolse la messa solenne. Alla fine della funzione la bara fu caricata a spalla e portata nell'auto delle pompe funebri, mentre la banda del paese suonava una melodia struggente... e le lacrime scorsero a fiumi. Il viaggio verso Trieste fu lungo. Una piccola carovana di macchine si snodò da Pordenone fino a Trieste e qui ci unimmo agli altri parenti accorsi dall'Istria e da Trieste per porgere l'ultimo saluto a Mamma. Strinsi tantissime mani quel giorno.
Ma il vero dolore, il vero lutto arrivò qualche giorno dopo, quando ormai riprese le normali attività, io in ufficio, papà anche lui tornato al lavoro, mio fratello all'università, si entrava in casa ed il vuoto che aveva lasciato Mamma si faceva più palese. Abbiamo continuato a vivere la nostra vita di famiglia nonostante la sua assenza, creando un sodalizio nuovo di compiti in una normalità strana.
Mi rendo conto ora che di quel periodo non conservo alcuna foto... come se volessi cancella tutto di quel dolore conservando questa di quando lei era giovane, forte, determinata, combattiva con un velo di tristezza.