martedì 31 marzo 2015

Anche marzo è finito!!!!

giovedì 26 marzo 2015

La resilienza


Questa parola non la conoscevo, ma ci sto già lavorando da una vita ... : D Per quanto difficile possa essere la resilienza è il mantenere la positività e non arrendersi mai!

mercoledì 25 marzo 2015

Pablo Neruda

Non incolpare nessuno,
non lamentarti mai di nessuno, di niente,
perché in fondo
Tu hai fatto quello che volevi nella vita.

Accetta la difficoltà di costruire te stesso
ed il valore di cominciare a correggerti.
Il trionfo del vero uomo
proviene delle ceneri del suo errore.

Non lamentarti mai della tua solitudine o della tua sorte,
affrontala con valore e accettala.
In un modo o in un altro
è il risultato delle tue azioni e la prova
che Tu sempre devi vincere.

Non amareggiarti del tuo fallimento
né attribuirlo agli altri.

Accettati adesso
o continuerai a giustificarti come un bimbo.
Ricordati che qualsiasi momento è buono per cominciare
e che nessuno è così terribile per cedere.

Non dimenticare
che la causa del tuo presente è il tuo passato,
come la causa del tuo futuro sarà il tuo presente.

Apprendi dagli audaci,
dai forti
da chi non accetta compromessi,
da chi vivrà malgrado tutto
pensa meno ai tuoi problemi
e più al tuo lavoro.

I tuoi problemi, senza alimentarli, moriranno.
Impara a nascere dal dolore
e ad essere più grande, che è
il più grande degli ostacoli.

Guarda te stesso allo specchio
e sarai libero e forte
e finirai di essere una marionetta delle circostanze,
perché tu stesso sei il tuo destino.

Alzati e guarda il sole nelle mattine
e respira la luce dell'alba.
Tu sei la parte della forza della tua vita.
Adesso svegliati, combatti, cammina,
deciditi e trionferai nella vita;
Non pensare mai al destino,
perché il destino
è il pretesto dei falliti.

domenica 22 marzo 2015

Aria di festa

Ancora una settimana e ci siamo! Inizia l'ora legale e fra poco è Pasqua. 
La mia mente corre al passato, quando in questa stagione la mamma, che faceva la sarta in casa, aveva un andirivieni di clienti. C'era la generosa, la capricciosa, la scorbutica, il pezzo di pane, come una mia zia. Per Pasqua era un classico vestire qualcosa di nuovo, di più leggero, per esorcizzare l'inverno trascorso, anche quando la Pasqua cadeva nel mese di marzo e le temperature erano ancora rigide.
Un anno mia madre a spanne realizzò subito che la stoffa fornita dalla zia era abbondante e chiese il permesso di poter usare quello che avanzava per me. E quella Pasqua Mamma riuscì a farmi una gonna aperta davanti con originali bottoni di metallo, che davano un'aria di gioventù ad una stoffa seria e con la stoffa del mantello blu della zia la mamma fece miracoli facendo venir fuori una piccola giacchina per me che ero piccola e mingherlina ricordo i bottoni dorati da marinara: erano tempi duri, bisognava arrangiarsi.
 

Il sole, come oggi, nel corso della giornata scaldava la temperatura e tutto iniziava a fiorire. 

La Pasqua era una gran festa, il mercoledì precedente era l'ultimo giorno di scuola e fino al martedì eravamo in vacanza, al solito noi ragazzi con Mamma si andava dai nonni in campagna con la corriera il giovedì, raggiunti da Papà se riusciva ad avere il giorno libero o prendersi ferie. 

La Nonna aveva fatto un lavoro enorme non solo pulendo, ma anche ridipingendo la grande cucina e qualche volta anche le stanze. Tutto sapeva di fresco e pulito, in cucina i centrini con i bordi alti induriti nella stiratura dall'amido incorniciavano vezzosamente i pochi suppellettili. Il Nonno aveva lavorato duramente per seminare le varie colture, preparare le prime verdure nell'orto che sarebbero andate a tavola, mentre seguiva la maturazione del vino nuovo, che iniziava una nuova leggera fermentazione nelle botti per simpatia alla fioritura delle viti. 

Tutto era in ordine e già si aspettava il momento di portare le pinze dal fornaio il venerdì santo. La pinza è questa, nella foto presa dal web,   un dolce tipico della Venezia Giulia, anche se essendo in fondo un pane dolce penso si possa trovare in tutte le regioni d'Italia con delle varianti. Trovate qui la ricetta http://www.damgas.altervista.org/blog/pinza-pasquale-triestina/



La Nonna e le zie facevano a gara a chi le facesse più buone e gustose. Le preparavano per tempo e portavano la pasta dal fornaio, che dopo averle messe per una notte nella camera di lievitazione del suo forno, le arrostiva. Ne facevano circa una decina, erano deliziose: morbide, gustose, duravano friabili per settimane. Un tripudio per il palato, la mattina ad intingerle nel caffé latte magari rinforzato dallo zabaione sbattuto dalla bisnonna fino a farlo diventare bianco e spumoso fatto con le uova fresche delle nostre galline. Oppure cosparse di burro e marmellata e poi con la nutella erano un mito! Se duravano a lungo e diventavano secche, venivano poste sulla piastra della cucina e biscottate.

C'è un altro dolce che si fa per Pasqua da noi e che si regala alle donne ed ai bambini ed è la "titola". 



Viene realizzato con la pasta della pinza che ferma un uovo sodo in una piccola treccia corsparsa di granella di zucchero: la sua forma allungata rappresenta il chiodo con cui venne crocefisso il Cristo, mentre l'uovo sempre colorato in rosso ne rappresenta il sangue, portando un messaggio di speranza che da la resurrezione del Cristo. Oggi si usa colorare le uova in diversi colori per la gioia dei piccini. 
 

La vigilia era stretta, di venerdì e sabato si mangiavano le tagliatelle con le alici sott'olio, la sera si mangiava verdura e pesce. Il sabato era la volta di pasta al burro e calamari o acciughe fritte, oppure seppie in umido con patate e polenta. Il sabato però la nonna faceva il pane in casa e nella cucina l'odore si spandeva inebriante... tanto che mangiavamo una pagnotta già quel giorno e soprattutto ancora caldo appena uscito dal forno.

Era tradizione che il giorno di Pasqua la mamma e la nonna andassero a messa alle 8,  portavano con loro una pinza da far benedire al prete per portarla in tavola a pranzo.   Noi bambini del gruppo di case dove abitavano i nonni ci recavamo in massa alla messa delle 10.30 quella che  chiamavamo  "messa granda" (=  messa cantata), noi nei banchi di sinistra con le donne, il nonno e gli zii, nei banchi di destra riservati agli uomini. 

La strada fino alla chiesa era ancora in ghiaia battuta, si prendeva una bacchetta per allontanare qualche molesto cane, malintenzionato, scappato o lasciato libero da catena, ma l'unione fa la forza ed il gruppetto eterogeneo di ragazzi e ragazze di diverse età era spensierato duranto il tragitto, sapeva di potersi ben difendere. Si camminava, si saltava, si correva, si scivolava sulle pozzanghere ghiacciate, se la temperatura era rigida. 

Il ritorno a casa ci trovava affamati e stimolati da una ridda d'odori gustosissimi. 

La tavola era enorme: i bisnonni, i nonni, la mamma, il papà, io e mio fratello e gli zii D. e G. con le loro mogli. La tavola era sempre allegra, il vino invitava allo scherzo, sempre rispettoso (i nonni e gli zii davano ancora del "voi" ai loro genitori!), tutti raccontavano storie, si ricordavano l'un l'altro avventure, scherzi ingenui fatti ad amici o parenti, esorcizzavano la fatica, la tristezza dell'esilio, apprezzando quanto la nuova terra ripagava del loro lavoro. 
Il pranzo era lunghissimo, spesso ci si fermava anche a cenare. 
Per antipasto la giardinetta di verdura sottaceto e si tagliava il primo prosciutto di casa. Poi c'era il brodo ristretto di cappone, la pasta con il sugo di carne o il pasticcio al ragù, seguiva il gallo arrosto (perché i nonni non amavano la carne d'agnello) con le patate al forno, la verdura fresca dell'orto e come dolce la pinza, che le nonne soprattutto la sera incitavano noi bambini a pucciare nel vino buono aggiustato con un generoso cucchiaio da tavola di zucchero. Era una leccornia, ma ovviamente ci metteva K.O., andavo ben presto a letto ubriaca, la Mamma protestava, ma le voci degli anziani la calmavano subito "una volta in tanto, fa ben: fa bon sangue!!!"  Ed io salivo con difficoltà le scale e mi mettevo nel letto matrimoniale vicino al nonne, che saltava imprecando ogni volta che vi entravo, quando lo toccavo con i miei piedi gelati.  Era bello addormentarsi vicino al nonno, che stava tutto sotto le coperte solo il ciuffo nero dei suoi capelli si intravvedeva sul cuscino. Sotto le coperte il suo corpo aveva generato un piacevole tepore, che mi accoglieva dolcemente traghettandomi in un sonno. Ma guai a muovermi!  perché ad ogni movimento la mia testa girava come se fossi nella centrifuga degli astronauti e mi pareva di morire... :D 

Buona Pasqua a tutti! 

giovedì 19 marzo 2015

19 marzo - San Giuseppe

Nei social networks ho letto disparati posts e commenti a questa giornata e tanti auguri a tutti i papà. 
Anche a me è venuto il magone, per il mio Papà morto così presto, per il nonno Giuseppe e per il nonno Mario nato in questo giorno nel 1900. 

Ma più che la festa del Papà, il 19 marzo per noi ragazzi era una festa bellissima: un giorno di preziosa vacanza da scuola,  ancora più apprezzata quando anche Papà era di riposo. Quindi si impigriva la mattina a letto,  si faceva il pranzo in fretta perché dopo andavamo dallo zio Giuseppe e dalla zia Maria: per San Giuseppe si faceva sempre una bella passeggiata -tempo permettendo-. Una delle mete preferite era la villa Revoltella, che con la primavera offriva un bellissimo parco ridente e rigoglioso, pieno di fiori nuovi con una bella distesa d'erba verde smeraldo.  Controllavamo subito dov'erano i pavoni. Sotto gli enormi abeti c'erano dei grandi funghi sembravano magici come quelli del brucaliffo. Poi si andava alla fontana davanti alla Chiesa per dare da mangiare ai pesciolini rossi. Ci dirigevamo dopo verso il centro del parco, lasciando alla nostra sinistra la grandissima serra, piena di piante ed alberi di tutto il mondo, poi c'erano i terrari sotto il muro dove dimoravano le pianticelle appena nate, che venivano coltivate per formare l'aiuola con lo stemma di Trieste e la data del giorno. Scendevamo la scalinata dove ci aspettava una grande fontana,  con sopra un enorme Pinocchio che si specchiava dentro l'acqua angosciato per le sue orecchie d'asino. In fondo alla collinetta si trovavano i campi giochi: una pista di pattinaggio, un campo da tennis dismesso, alcune altalene con la fila di bambini che aspettavano il loro turno, la giostra sempre piena, supervisionata da qualche genitore.. A volte ci si sbucciava le ginocchia, ma Mamma prima ci strapazzava un po' per la nostra sconsideratezza a correre in quel modo, poi ci asciugava le lacrime e con un fazzoletto inumidito da saliva dava il primo soccorso pulendo la ferita dalla terra e rimbrottando, che in fondo non era nulla di grave, infatti si riprendeva a correre a giocare, a saltare, a dondolare... di nuovo piangenti quando il sole andando al tramonto ci induceva a rientrare sotto la pressione degli adulti, perché iniziava a fare freddo...    Di  ritorno si passava davanti alla voliera degli uccellini di tante varietà, che nel tepore della primavera scrollavano le loro piume, le pulivano contenti, facevano il bagno nelle ciotole d'acqua, si rincorrevano cantando allegri. Noi bambini restavamo rapiti e curiosi a guardare quella varietà di colori e di canti e constatavamo i nuovi arrivati. 

Alla fine si rientrava a casa degli zii e la zia Maria ci preparava una scodella di latte caldo o di te, con i biscotti pavesini, oppure con una fetta di dolce buonissimo se aveva avuto il tempo di farlo. Ricordo le sue torte meravigliose sempre con la glassa sopra. Divoravamo ogni cosa e ci consolavamo guardando la TV dei ragazzi, che iniziava le prime trasmissioni intorno alle 16.30.

Per tornare a casa e risparmiare sul biglietto dell'autobus si percorreva la strada a piedi visto che era in discesa; se ci lamentavamo per la stanchezza, dato che il traffico era quasi inesistente Papà ci prendeva per mano e iniziava a scendere saltando a balzelloni accellerando il passo, mentre lui cadenzava il ritmo dei balzi con una filastrocca. 

La strada non era tanto lunga, ma a noi bambini sembrava interminabile: quella notte dormivamo come sassi. 

Illy porta Sebastião Salgado a Expo 2015

http://www.comunicaffe.it/due-video-illy-porta-sebastiao-salgado-a-expo-2015/



MILANO – Andrea Illy ha detto ieri che la sua azienda sta lavorando da due anni alla realizzazione delcluster del caffè. Nel quale le fotografie di Sabastião Salgado porterà la forza evocativa delle immagini di grande formato, tutte dedicate alla coltivazione del caffè in 80 Paesi che Salgado ha visitato in buona parte.
Vi  proponiamo un video che raccoglie molte di queste fotografie, quelle che sono già state mostrate all’Auditorium Renzo Piano di Roma. Il video è di Maria Teresa de Vito.


mercoledì 18 marzo 2015

A Trieste... come si dice e cosa si fa...



da Tiziana Zuppi... cito : 

A Trieste...
A Trieste per dire mi dispiace si dice “volentieri…”
A Trieste se vuoi bere un caffè devi conoscere il suo vocabolario: nero, goccia, capo, capo in b, deca, …A Trieste si va in spiaggia separati (Alla Lanterna): donne con le donne, uomini con gli uomini.
A Trieste chi attraversa sulle strisce passa sempre per primo.
A Trieste ci sono più di otto diverse religioni che si rispettano e non fanno guerre.
A Trieste c’è davanti il mare.
A Trieste “si va al bagno“, ma non come in Italia.
A Trieste la corrente elettrica si divide ancora in 220 o 125.
A Trieste i "pedoci" = pidocchi (le cozze  n.d.t. ) si possono mangiare
A Trieste c’è la più alta concentrazione di scienziati e scrittori da tutto il mondo, ma nessuno lo sa.
A Trieste la follia è stata dichiarata normalità.
A Trieste il danno è diventato “esistenziale”.
A Trieste quando tira il vento, mettono le corde per tenersi.
A Trieste se vedi un uomo malvestito può sempre essere un milionario.
A Trieste la bandiera tricolore sventola a tutte le feste comandate.
A Trieste si va in Slovenia per fare benzina.
A Trieste non si dice terrone bensì  "  'talian  ".
A Trieste quando compri casa non devi andare al Catasto, ma al Tavolare di Maria Teresa d’Austria.
A Trieste si parla come si mangia: il primo è sloveno, il secondo austriaco, il vino italiano o triestino. Qualcuno, di nascosto, beve e parla in friulano.
A Trieste quando ci si tuffa in acqua vince chi fa più spruzzi.
A Trieste i “pastini” non sono piccoli pasti e i “trombini” non sono piccole trombe.
A Trieste non si chienono 100 grammi o un etto, ma "10 deca".
A Trieste i cartelli stradali sono scritti in italiano, ma i valori interni parlano tutte le lingue.
A Trieste c’è la scuola interpreti più famosa d’Italia: ci sarà un motivo.
A Trieste i giovani sono i muli e le mule.
A Trieste le acciughe si chiamano sardoni e i "sardoni" si buttano alle mule ... (come si pescano seppie con pezzetti di acciughe, così i "muli pescano le mule").
A Trieste il "mato” era un tizio “normale” già prima di Basaglia.
A Trieste “l’atomica” non è una bomba e nessuno la teme ( n.d.t. pentola a pressione).
A Trieste i guai “ xe longhi ”
A Trieste, quando si parla in italiano, si parla in “lingua“.
A Trieste jota non è solo una lettera dell'alfabeto.

Un filmato prodotto dalla televisione Giapponese

che illustra la mia città ai Giapponesi , molto suggestivo... e molto strano a sentire la speaker pronunciare "Torieste" ... : D

vi metto il link perché il video non riesco a pubblicarlo... https://www.youtube.com/watch?v=IzLJkfBo9hE

e vi passo un'altro per farne il raffronto... come la vedono i Francesi!

lunedì 9 marzo 2015

Anche oggi..

uno splendido tramonto. 



Storia del Gianduiotto

Il 21 novembre 1806 Napoleone Bonaparte a Berlino decretò il cosiddetto Blocco Continentale, che vietava il commercio tra i Paesi soggetti al governo francese e le navi britanniche. Dal 1798, e fino al 1814, il Piemonte fu sottomesso alla dominazione napoleonica. Tra i prodotti maggiormente esportati dagli inglesi (importati dalle loro colonie), vi era il cacao che, a causa dei provvedimenti presi da Napoleone, subì un considerevole ridimensionamento. Cosa gravissima, se si pensa che, a fine Settecento, a Torino si era creata una vera tradizione di cioccolatai, che producevano 350 chilogrammi di cioccolato al giorno. Così, dall’incontro tra il cacao e il Piemonte, e grazie alle restrizioni napoleoniche, nacque il Gianduiotto. Come andò di preciso?

gianduiotto

fonte : http://www.bergamopost.it/chi-e/incredibile-storia-gianduiotto-compie-150-anni/

La storia. «Una volta provato del cioccolato non si può più farne a meno». Se questo è un concetto valido ai giorni nostri, era già assodato ad inizio Ottocento, quando, nonostante le quantità minori di cacao importate e i conseguenti esosi prezzi, la domanda di cioccolato era elevatissima. E, in Piemonte, urgeva una soluzione per barcamenarsi in questa complicata situazione. Torino conosceva ormai da quasi 250 anni il cioccolato, esattamente da quando Emanuele Filiberto di Savoia era tornato dalla pace di Chateau Cambresis del 1559 con dei semi di cacao. Fino al 1826 in tutto il mondo il cioccolato veniva servito solo ed esclusivamente come bevanda liquida.
Proprio in quel periodo Paul Caffarel, imprenditore di origine valdese, era proprietario di una fabbrica nel quartiere di San Donato a Torino, dove perfezionò una macchina che gli permise di produrre il primo cioccolatino: cioccolato solido ottenuto con la miscela di cacao, acqua, zucchero e vaniglia. Nel 1852 il figlio di Caffarel, Isidore, fuse la fabbrica con quella di un altro importante industriale del settore dolciario, Michele Prochet. La Caffarel-Prochet, per rispondere alle richieste di cioccolato dei torinesi, decise di sfruttare una collaborazione con la vicina Alba, scommettendo sul prodotto più famoso della zona: la nocciola Tonda Gentile delle Langhe. Prochet ebbe l’intuizione geniale di sostituire nell’impasto i pezzetti di nocciola, facendola tostare e macinare, rendendola così simile a una crema, alla quale venivano poi aggiunti il cacao e lo zucchero.

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Il nome. È il 1865 quando Prochet affina la sua creatura con una forma che viene chiamata «givò», che in dialetto piemontese significa «mozzicone di sigaro», e ricorda una piccola barca rovesciata. Bisognava pensare a un modo per farla conoscere: a quei tempi il carnevale di Torino era parecchio famoso in tutta Italia, e le maschere tipiche della tradizione erano solite lanciare leccornie e dolciumi alla folla. Caffarel sfruttò così la maschera Gianduja per distribuire i suoi Givò 1865 alla gente. Gianduja (tradotto letteralmente: Giovanni del boccale) è una maschera tipica della tradizione piemontese, che incarna lo stereotipo del galantuomo locale allegro e godereccio che partecipa attivamente alla vita cittadina, senza risparmiare opere di carità. La leggenda vuole che la forma del cioccolatino ricordi l’ala del tricorno indossato come copricapo da Gianduja.
Il Carnevale 1869 fu il punto di svolta per il Caffarel 1865 che piacque talmente tanto da mutare il nome in Gianduiotto, con cui divenne famoso. L’altra grande novità introdotta da Caffarel fu quella di distribuire i cioccolatini prodotti non nelle solite scatole, ma singolarmente e, per la prima volta, avvolti in una carta dorata sulla quale era raffigurata la celebre maschera (licenza possibile solo all’azienda, in quanto depositaria del marchio).
Oggi il cioccolatino piemontese viene prodotto in tutto il mondo dalle principali industrie del cioccolato, come Pernigotti, Novi, Fiorio e Peyrano, e solo la Caffarel ne sforna 40 milioni all’anno, ed è conosciuto come eccellenza italiana nell’ambito culinario; viene da sorridere a pensare che, se non ci fosse stato il Blocco di Napoleone, forse non ce lo saremmo mai gustato.

domenica 8 marzo 2015

Meraviglioso week-end!

Venerdì sera : tramonto in Piazza dell'Unità d'Italia. All'orizzonte il profino delle prealpi ...

sullo sfondo una porta container, il monumento ai bersaglieri ed alle Mule di Trieste...
Mille colori illuminano il cielo!
E' stato un week-end di bel tempo e bora!



domenica 1 marzo 2015

Lunga vita e prosperità!


Leonard Nimoy si è spento a Los Angeles il 27 febbraio.  Oltre che attore e regista, si è affermato anche come poeta, musicista e fotografo ed ha lavorato fino a quando la malattia glielo ha permesso.  Ha salutato i suoi fan ed amici su Twitter con la frase storica del suo personaggio più famoso, il mitico vulcaniano dottor Spock: "Lunga vita e prosperità" .   Ovunque tu sia ora e mi piace pensarti tra le stelle più lontane e luminose , "Lunga vita e prosperità a te, dottor Spock! "

Marzo


E' ormai un rito salutare questo mese con le note di Antonio Carlos Jobim. 

Ed il mese inizia con il sole. Le giornate si stanno allungando al mattino alle 6:30 inizia ad albeggiare, la sera  il cielo si oscura solo dopo le 17:00 ed il mio cuore canta allegro in attesa della bella stagione, con la voglia di Sole, di mare, di "andare al bagno" che a Trieste significa andare al mare :D , reincontrare le stesse faccie che si sdraiano negli stessi spazi delle stagioni precedenti, come fosse un rito da espletare, con religiosa pazienza, crogiolandosi sotto i raggi luminosi, a volte caldi a volte torridi, giocando a carte, chiacchierando e poi andando di tanto in tanto sotto la doccia o a far un "toc" [(la "c" si legge dolce di cigliegia) derivazione di "tociar" (toccare, intingere)], uno scendere dalla spiaggia al mare ed immergersi nelle acque per refrigerarsi e rimanerci beatamente ammirando l'azzurro cielo, le navi di passaggio, il Carso con il "formaggino" di sentinella (la Chiesa di Monte Grisa, chiamata così dal popolino per la forma di piramide tronca), 


Seguiamo i voli dei gabbiani  pensando al Sole, che ormai manca poco a Primavera!