Papà in questa foto aveva compiuto 40 anni, oggi ne avrebbe 82. Si chiamava Mario, per i familiari Marieto, era il secondogenito. Il "piccolo" di casa. Per suo suocero era "Eto" perché era alto e magrissimo quando s'innamorò di mamma.
Ci parlava delle sue estati nella sua città di mare a bordeggiare con gli amici in barca o al bagno in compagnia di amici e parenti : una schiera di cugini e cugine.
I suoi genitori negli anni della guerra lo mandarono a convitto dai salesiani di Udine per frequentare il rigido Malignani. Anche lì però Papà bigiava la scuola. Ricordava sempre tra gli anneddoti le sberle che l'insegnante gli diede nel 1946 quando all'uscita del scandalosissimo (per allora) film "Gilda" gli studenti furono sottoposti ad interrogatorio e chi confessava di esser andato a vederlo si aggiudicava un sonoro ceffone! Erano i tempi in cui se ti lamentavi con i tuoi di aver ricevuto a scuola una simile punizione ne ricevevi una "gragnola" a casa come ricompensa, oltre che a privazione di quei pochi privilegi di cui potevi godere!
Vista la costosità della trasferta e la poca voglia di studiare, fu trasferito a Trieste da una zia, a completare gli studi presso l'Istituto Volta per periti tecnico-industriali, ma con poco profitto: Papà arrivò alla terza classe, in sei anni!
Dopo di che fu richiamato a casa in Istria per il peggioramento delle condizioni di suo padre, mio nonno. Da allora divenne il suo braccio destro, in vista della successione, essendo l'unico maschio. Poi il matrimonio, la morte del nonno e l'esodo.
L'esilio sconvolse non poco mio padre: figlio d'imprenditori con un futuro già pianificato, la dominazione Titina con la confisca dei beni effettuata dai soldati di Tito, fu un trauma enorme. Divenne operaio della cooperativa, ma la proprietà era stata trasferita di fatto SENZA alcun indennizzo ai dominatori jugoslavi! Non era vita: perquisizioni, soprusi, requisizioni a sorpresa! Con due bambini piccoli, moglie e la madre vedova a carico scelse di rimanere Italiano, scelse la libertà, ma dovette ricominciare da zero senza alcun capitale alle spalle, perché intanto la malattia del nonno aveva assorbito le poche finanze accantonate duramente dopo la guerra.
Essendo nata di domenica, lui mi festeggiava sempre il giorno successivo, nel quale ci raggiunse con mio fratello per vedermi la prima volta.
Ricordo le tacche di bruciato delle cicche che metteva sulla credenza di legno, mentre si faceva la barba in cucina la sera (il bagno era molto freddo) per aver più tempo la mattina. La barba lunga della domenica quando la mattina finalmente avevo modo di incontrarlo in cucina a casa per il turno di riposo e mi dava il bacio del buongiorno stringendomi in un abbraccio e sfregandomi con la barba ispida il viso.
Mi ricordo come religiosamente si mangiava il caffé-latte : riempiendo la scodella di pane ed appoggiandovi sopra la mitica panna, che il latte bollito donava al nostro palato. Sistematicamente si doveva immergere e far affiorare il cucchiaio dal basso verso l'altro per poter prendere il pane con un pezzetto di panna, che mitigava e addolciva la cucchiaiata riempiendo la bocca.
Quando da bambina ebbi i primi incubi lui mi insegnò a non aver paura, ma recitare un Pater ed un Ave Maria a protezione e di star tranquilla che nessuno dopo mi poteva fare più del male. Funzionò ed ancora quando mi sveglio agitata inizio a recitarli, riaddormentandomi come una bambina.
Dopo l'esodo, andò prima a batter ruggine nel cantiere navale di San Rocco, poi finì bigliettaio sulle autocorriere di linea verso il confine, poi operaio nell'officina dell'azienda trasporti cittadina. Ancora ricordo le notti in cui stanco si sentiva che parlava nel sonno "avanti c'è posto", "un biglietto : 50 lire"!
Ancora ho nella mente le serate in cui prima della televisione, quando era a tavola a cena con noi libero dal turno serale, raccontava le storie della sua famiglia d'origine, gli scherzi che da studente facevano a scuola, si cantava, ci si raccontava barzellette. Poi i commenti davanti alla televisione, con in mano la mitica Enigmistica, che completava fino alla fine!
Come mamma, amava leggere ed i libri erano un costo rilevante del suo magro stipendio: c'era sempre da pagare la rata del Milione o dei Classici Azzurri, o del Conoscere, l'Enciclopedia dei Ragazzi, del Dizionario Sansoni e poi i tascabili Mondadori, i Medusa per non parlare del Selezione del Readers' Digest, rivista e libri. Aveva anche dei dischi a 38 giri che ancora posseggo, con la Sinfonia di Beethoven diretta da un giovanissimo Von Karajan, ma anche dischi di musica leggera, con Bing Crosby, Trina Lopez, Zara Leander che facevo andare sul primo giradischi preso a rate da Selezione che aveva la puntina per i 38 giri, che dovevi girare per ascoltare i 45 e 33.
Quando era libero in primavera si andava a fare delle lunghe camminate nella riserva naturale dei laghetti carsici di Percedol, si andava a raccogliere gli asparagi nella bassa boscaglia di Cattinara. D'estate si andava ai Topolini al mare e lui mi insegnava a nuotare, quando ero piccola mi aggrappavo a lui e mi portava al largo dove non si toccava e mi pareva un'avventura straordinaria.
Era introverso, solo chi lo conosceva poteva comprendere il suo stato d'animo, ma non era mai musone, anzi gli piaceva parlare con la gente, conosceva tutti sapeva tutto di tutti e amava la compagnia, le riunioni. A chi gli chiedeva "come va?" rispondeva sempre allegramente "Pulito" (Bene) ad una signora che gli obiettò, "Impossibile che a lei vada sempre tutto bene, qualche volta avrà qualcosa che non va" Lui rispose serenamente "Anche se le raccontassi i miei problemi, lei non ci potrebbe fare nulla, quindi perché tediarla invano?"
Ricordo il periodo doloroso per la malattia di mia madre quando rimase al suo capezzale sempre allegro, mai stanco di accudirla nell'assistenza anche più umile, senza batter ciglio, anzi cercando di distrarla mentre svolgeva questi compiti. Ho visto l'amore con cui la imboccava e le sciacquava la bocca e la sua sofferenza quando lei morì.
Gli anni successivi furono difficili, fino a che non incontrò di nuovo una compagna e con lei riprese a vivere ed io affidai loro i miei figli, che involontariamente chiamava quasi sempre con i nomi mio e di mio fratello. Con loro riuscì a rilassarsi e sciogliersi come ogni nonno riesce a fare, libero da problemi economici, andando dopo poco in pensione assieme alla moglie e per i miei figli fu un nonno splendido, amorevole, ma giustamente severo quando serviva. Assieme li portarono dappertutto, da maggio ad ottobre li vedevo poco e dovevo durante l'estate accompagnarli sempre la mattina in campeggio ed andarli a riprendere la sera; facevano gite in barca, vacanze con il camper, gite in Carso, sparivano e non li vedevo più e si incazzavano quando chiedevo loro i programmi che avessero per concordare le mie ferie in ufficio! Volevano essere liberi di progettare tutto all'ultimo minuto!
Un modo di vivere diverso da quello a cui eravamo abituati e che mi portò a qualche attrito con loro, ma superai tutto per il bene dei miei figli : io avevo poco tempo e forza da dedicare a loro e per lavoro ero tanto lontana da casa, mio marito era incapace di educare, ma solo di giocare e nutrirli a pane e nutella! Per cui li affidai per il tempo che lavoravo a mio padre ed alla sua seconda moglie, perché avevo fiducia in loro, nei loro principi e così i miei figli ebbero sempre un pasto caldo pronto ad accoglierli al loro ritorno da scuola, ed orecchie pronte ad ascoltarli e qualcuno che li seguiva nei compiti: eravamo comunque in sintonia pronti a riferire qualsiasi variazione d'umore o di situazione percepita per concordare come comportarsi. Imparai a dedicare ai miei figli la maggior attenzione possibile quando stavamo assieme in modo da compensare con la qualità il poco tempo che riuscivo a dedicare loro. Ma dissi sempre ai miei figli, che se mio padre avesse avuto per me e mio fratello solo un terzo delle attenzioni e disponibilità che aveva avuto con loro, saremmo stati i figli più felici del mondo, invece subimmo la depressione post-esodo e la nostra vita nella congiuntura e negli scioperi della fine degli anni sessanta non fu facile.
Lui con i miei figli visse una seconda giovinezza. Poi a 70 anni l'infarto, l'agonia, la ripresa, il tracollo e la fine: un vuoto.
Paradossalmente da quel momento qualcosa cambiò in me, fui consapevole di una maturazione particolare: avevo rotto anche l'ultimo cordone ombellicale, iniziai a camminare autonomamente, ormai ero sola e più "grande".
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